Per capire, sarà utile esaminare quale tipo di “speciazione” avesse in mente Darwin.
La sua teoria traeva origine dalle indagini sulle variazioni nelle popolazioni animali. Una parte di queste indagini veniva fatta da persone che allevavano animali, selezionando le razze pregiate di cani, mucche o piccioni. Da ogni popolazione venivano scelti per essere allevati gli esemplari che possedevano le caratteristiche desiderate (ad esempio, cani che potessero correre velocemente, mucche che producessero un buon latte, o piccioni “intelligenti”). Nel giro di alcune generazioni, i discendenti di tali esemplari possedevano un’alta percentuale delle qualità selezionate. Per esempio, le mucche producevano più latte delle normali mucche.
Questo tipo di “variazione limitata” portò Darwin a pensare che in natura vi fosse un processo di cambiamento continuo, e che se tale processo fosse durato per un periodo abbastanza lungo, si sarebbero ottenuti dei cambiamenti radicali. In altre parole, l’evoluzione.
Darwin fece una seconda constatazione di questo tipo: le varie razze di fringuelli che aveva visto nelle isole Galapagos avevano dei becchi di forma differente da quelli dei fringuelli della terraferma. Nelle isole, nella stessa popolazione di fringuelli, si sviluppavano delle varietà con becchi diversi: lunghi, corti, curvi e diritti. Darwin concluse che queste varietà si sarebbero trasformate in specie separate, se i fringuelli di queste varietà diverse si fossero accoppiati tra loro.
Quando Darwin mise insieme tutti questi esempi di variazioni, fu portato a pensare che in natura avesse luogo una continua, illimitata modificazione, e che fosse necessario solo un prolungato periodo di tempo per consentire lo sviluppo di nuove specie, ordini e classi. Ma Darwin si sbagliava.
Quando si selezionano e allevano individui con una certa caratteristica dominante, solo i membri migliori e più forti di quella specie vengono prodotti. Ma questa riproduzione selettiva non può mai portare a una specie differente. Ad esempio, un cavallo non può discendere da un gatto, né una giraffa da una gazzella, o una prugna da una pera. Le pesche non si trasformano in banane, né i garofani in rose. In breve, in nessuna condizione, una specie può svilupparsi da un’altra specie. Le pagine seguenti spiegheranno dettagliatamente come Darwin si sbagliava su questo punto.
Loren Eisley |
Ernst Mayr |
Anche gli esperimenti condotti sulle mosche della frutta hanno urtato contro il muro della “limitazione genetica”. In tutti questi esperimenti, le mosche da frutta hanno subito dei cambiamenti fino a un certo punto, ma oltre tale limite non è stato riscontrato alcun cambiamento. Ernst Mayr, un ben noto neodarwinista, riferisce quanto segue su due esperimenti condotti sulle mosche della frutta:
1) Non si possono ottenere dei nuovi dati genetici, senza che nei geni degli organismi non intervenga un’interferenza esterna. In mancanza di una tale interferenza, non possono comparire in natura nuovi dati biologici. Cioè non possono nascere nuove specie, nuovi organi e nuove strutture. Ciò che accade, in natura, a certe specie, è solamente una “variazione genetica”, che si verifica naturalmente in una determinata specie. Queste alterazioni minime includono lo sviluppo, ad esempio, di allevamenti di cani più bassi, più grandi, a pelo corto o a pelo lungo. Ma neanche in un milione di anni queste variazioni produrranno nuove specie o taxa più elevate (generi, famiglie, ordini, classi, phyla).
2) In natura, l’interferenza esterna con i geni degli organismi capita solo quando vi sono delle mutazioni. Ma queste mutazioni non sono mai benefiche, né producono nuovi dati genetici; distruggono solo i dati esistenti.
Pertanto è impossibile spiegare le “origini delle specie” in termini di selezione naturale, come Darwin pensava di fare. Non importa a quanta “selezione” siano sottoposti dei cani, questi rimarranno sempre cani; non ha senso asserire che, in passato, i cani erano in realtà pesci o batteri.
E allora, cosa resta dell’“interferenza esterna” nei geni, o mutazioni?
Sin dagli anni ’30 la teoria darwinista si è avvalsa di questa alternativa, e per questa ragione, il nome della teoria fu cambiato in “neodarwinismo”. Tuttavia le mutazioni non sono riuscite a salvare la teoria – un argomento importante da esaminare separatamente.
Le ali in più, nelle mosche mutanti della frutta con quattro ali, non hanno muscoli atti al volo, e sono più un esempio di un handicap che di uno sviluppo. |
Si immagini, ad esempio, un programmatore che sta scrivendo un software sul suo computer, quando un libro gli cade sulla tastiera. Nel cadere il libro ne preme alcuni tasti, inserendo così nel testo delle lettere e dei numeri a casaccio. Una mutazione è qualcosa che somiglia a questo incidente. Proprio come la caduta del libro non può essere utile al programma – ma anzi, lo rovina - così le mutazioni danneggiano il codice genetico. Nel libro Natural Limits to Biological Change [Limiti naturali del cambiamento biologico], Lester and Bohlin scrivono che "le mutazioni sono sbagli, errori negli ingranaggi precisi della replicazione del DNA", il che significa che “mutazioni, variazione genetica e ricombinazione da sole non possono generare un cambiamento evolutivo importante.”110
Questo risultato, già anticipato a rigor di logica, è stato poi comprovato da riscontri ed esperimenti effettuati durante il XX secolo. Non è stata riscontrata alcuna mutazione, atta a migliorare i dati genetici di un organismo, che abbia portato a un cambiamento radicale.
Per questa ragione, nonostante accetti la teoria dell’evoluzione, Pierre-Paul Grassé, ex-Presidente della French Academy of Sciences, spiega che le mutazioni sono “mere fluttuazioni ereditarie attorno a una posizione mediana, un’oscillazione a destra, una a sinistra, ma senza alcun effetto evolutivo finale. […] Esse modificano solo ciò che è preesistente.“111
Il Dott. Grassé precisa che, per quanto riguarda l’evoluzione, il problema è che “alcuni biologi contemporanei, appena osservano una mutazione, subito parlano di evoluzione”. Dal suo punto di vista, questa opinione non corrisponde ai fatti poiché “non importa quante siano, le mutazioni non producono alcun genere di evoluzione.”112
La migliore prova che le mutazioni non producono nuovi dati genetici è quella fornita dalle mosche della frutta. Le mutazioni di queste mosche dimostrano che in natura, l’equilibrio, e non il cambiamento, domina gli organismi. Grazie al breve periodo di gestazione delle mosche della frutta, che dura solo 12 giorni, queste mosche sono state per anni il soggetto preferito per gli esperimenti sulle mutazioni. Pur di aumentare l’indice di mutazione del 15.000 per cento, in questi esperimenti furono utilizzati i raggi X. In questo modo gli scienziati poterono osservare delle mosche della frutta che, in poco tempo, avevano subito la stessa quantità di mutazioni a cui sarebbero state esposte, in condizioni naturali, in milioni di anni. Ma neanche queste mutazioni rapide produssero una nuova specie. Gli scienziati non furono capaci di ottenere nuovi dati genetici.
I geni, nei quali sono codificati tutti i tipi di informazioni sulle strutture e le caratteristiche degli esseri viventi, vengono danneggiati in caso di mutazioni – effetti distruttivi che si possono chiaramente vedere nell’immagine a lato. È pertanto impossibile che le mutazioni apportino un qualsiasi contributo all’origine di una nuova specie. |
Nonostante tutto questo, gli evoluzionisti asseriscono che vi sono dei casi di mutazione benefica, anche se rari, e che attraverso la selezione naturale, si formano nuove strutture biologiche. Questo è davvero un errore enorme. Una mutazione certamente non comporta un aumento dei dati genetici e, pertanto, non favorisce l’evoluzione. Come viene spiegato da Lester e Bohlin:
Le mutazioni causano sempre una perdita di dati genetici; credere che abbiano prodotto i codici genetici straordinariamente complessi dei milioni di specie differenti, è come credere che dei libri caduti a casaccio su una tastiera di un computer abbiano scritto milioni di enciclopedie. È un’assurdità impensabile. Il Dott. Merle d'Aubigne, capo del Dipartimento Ortopedico dell’Università di Parigi, offre questo importante commento:
Il neodarwinismo non può spiegare l’origine degli esseri viventi nei termini dei suoi due meccanismi, la selezione naturale e la mutazione. Nessun dato genetico può essere prodotto per mezzo della selezione naturale, vengono selezionati solo i dati esistenti. E neanche le mutazioni producono dei nuovi dati genetici; è raro che queste non influenzino i dati esistenti, di solito li distruggono. Chiaramente le origini dei dati genetici – e pertanto, la vita – non hanno nessuno di questi insensati meccanismi naturali.
Come asserito dal Dott. Merle d’Aubigne, questa origine è una “forza intelligente e organizzatrice”. Questo potere è Dio Onnipotente con la sua infinita intelligenza, conoscenza e potenza. Nel Corano, Dio dice:
Darwin non fu capace di giustificare “L’origine delle specie”, e neanche il darwinismo lo può fare. |
Ma l’uomo della strada non è tenuto al corrente di questa situazione. Il sistema darwinista preferisce tenere il pubblico all’oscuro del fatto che non vi sia possibilità di risposta alla questione dell’origine delle specie, così come proposta da Darwin. Si preferisce invece, con i libri di testo e con i media, continuare a ribadire i miti dell’evoluzione. Nel mondo scientifico questi miti sono chiamati “Le storie proprio così”, e costituiscono la fonte principale di motivazione per quelli che accettano la teoria di Darwin.
In quasi tutti i testi evoluzionisti si può trovare, alle volte con qualche piccola variazione, la più diffusa di queste storie, cioè come gli uomini sono arrivati a camminare su due arti. Ecco la storia: i primati umanoidi, che erano i progenitori degli esseri umani, vivevano tra gli alberi delle giungle africane. Le loro spine dorsali erano curve, e la conformazione delle loro mani e dei loro piedi era l’ideale per aggrapparsi ai rami degli alberi. Quando l’estensione della giungla africana si ridusse, gli umanoidi migrarono nella savana dove furono costretti a ergersi per poter vedere al di sopra dell’erba alta, in altre parole ad alzarsi in piedi. Fu così che i nostri antenati impararono a stare e a camminare eretti. E le loro mani, che ormai non servivano più per sostenersi, iniziarono a essere usate per costruire degli utensili. Più gli ominidi usavano le loro mani, più si sviluppava la loro intelligenza. E così diventarono degli esseri umani.
Storie come questa si trovano spesso nei giornali e nelle riviste evoluzioniste. Vengono raccontate ai lettori da giornalisti che accettano la teoria dell’evoluzione o la cui conoscenza della verità è limitata o superficiale, come se fossero fatti reali. D’altra parte, sono sempre più numerosi gli scienziati che dichiarano queste storie prive di alcun valore scientifico. Il Dott. Collin Patterson, per anni decano dei paleontologi del British Museum of Natural History a Londra, scrive:
L’erronea tesi di Lamarck fu demolita scientificamente, anche se tuttora si cerca di inculcarlo nelle menti delle persone. |
Jean Baptiste Lamarck inventò questo mito approfittando del mondo scientifico poco sofisticato di 150 anni fa. La scienza genetica moderna, comunque, ha dimostrato che una caratteristica acquisita nel corso di un’intera vita non passa in eredità alla generazione seguente. L’attinenza di ciò si rifà alla supposizione secondo cui l’evoluzione dei cosiddetti antenati degli esseri umani si basava sulle caratteristiche che questi avevano acquisito durante la loro vita. Questo scenario afferma che gli umanoidi si alzarono sulle zampe posteriori per vedere al di sopra della vegetazione, liberando così le loro mani per poterle usare, e avendo così, come risultato, uno sviluppo della loro intelligenza. Niente di tutto questo è mai accaduto. Inoltre non è possibile per un essere vivente acquisire delle caratteristiche semplicemente cercando di stare eretto e usando arnesi manuali. Ma anche se si accettasse la possibilità di una simile acquisizione (che è scientificamente impossibile), queste abilità non potrebbero essere tramandate alla generazione seguente. Pertanto, anche se fosse successo l’impossibile e una scimmia avesse potuto forzare il suo scheletro in una posizione eretta, questa abitudine non avrebbe potuto essere tramandata ai suoi discendenti, e l’evoluzione non sarebbe stata perciò possibile.
Dunque perché questa idea di Lamarck, screditata da più di un secolo, ancora viene imposta alla società?
Gli evoluzionisti dicono che queste “storie proprio così” racchiudono un vero e proprio processo di evoluzione biologica. Essi non credono che la necessità porti all’evoluzione, ma che la necessità guidi invece la selezione naturale verso una particolare direzione. Credono inoltre che essa determini la selezione delle mutazioni che porteranno a dei risultati in quella direzione. Quando insistono affermando cioè che gli umanoidi si ersero su due arti, intendono dire che questo successe perché era vantaggioso per loro comportarsi così. Qualcuno si raddrizzò perché il suo scheletro aveva subito queste mutazioni proprio al momento giusto, e quelli che alzarono sulle zampe posteriori furono scelti dalla selezione naturale.
In altre parole vengono ignorate completamente le spiegazioni scientifiche sulla mutazione, poiché se si esaminassero questi dettagli ci si accorgerebbe che sono solo superstizioni senza alcun fondamento scientifico.
Le “storie proprio così” degli evoluzionisti suppongono che le mutazioni appariranno per fornire quello di cui un organismo ha bisogno e per assicurargli qualsiasi adeguato vantaggio.
Per di più, non si è mai vista finora una mutazione che abbia sviluppato dei dati genetici.
Credere in questo scenario è come credere in una bacchetta magica che dà a un essere vivente tutto ciò che gli serve. Questa è solo superstizione.
Anche se il zoologo francese Pierre-Paul Grassé teoreticamente accetta l’evoluzione, egli è ben cosciente della realtà della situazione e si è pronunciato con determinazione contro il darwinismo descrivendo la sua strana credenza sulle mutazioni:
Tutti questi miti hanno in comune l’ipotesi secondo cui le speciali necessità degli esseri viventi sono prima individuate, e poi soddisfatte, per mezzo delle mutazioni. Gli evoluzionisti chiamano queste necessità “pressione evoluzionista”, come, ad esempio, il bisogno di ergersi su due zampe nell’erba alta della savana.
Solo coloro che accettano a occhi chiusi il darwinismo possono supporre che le mutazioni necessarie siano pronte e a portata di mano. Chiunque non sia rimasto vittima di un siffatto cieco dogmatismo si può rendere conto che le “storie proprio così” sono solo invenzioni prive di relazione con la scienza.
Infatti la natura di tali congetture è adesso apertamente ammessa dagli scienziati evoluzionisti. Ne è un ulteriore esempio il commento di Ian Tattersall, conservatore nella Divisione di Antropologia dell’American Museum of Natural History, in un articolo del The New York Times, intitolato "Why Humans and Their Fur Parted Ways [Perchè le strade degli esseri umani e delle loro pellicce si sono separate]”. La risposta al quesito suggeriva uno scenario con vari vantaggi. Tattersall ha affermato: “Vi sono tanti tipi di nozioni sui vantaggi della perdita del pelo, ma sono tutte “storie proprio così.”120
Nel suo libro del 1999, l’evoluzionista Henry Gee, redattore scientifico della rivista Nature, ha scritto che è sbagliato cercare di spiegare l’origine di un organo in termini di cosa sia per esso vantaggioso:
Mani storpiate a causa di mutazioni. |
La natura di questo mito diventa più chiara ogni giorno di più.
Nel rivedere ciò che è stato esaminato sin dall’inizio di questo capitolo, è evidente che l’affermazione secondo cui l’origine delle specie è un processo evolutivo casuale era il risultato di deduzioni sbagliate fatte da Darwin nel XIX secolo, poco evoluto dal punto di vista scientifico. Ogni riscontro ed esperimento effettuato nel XX secolo ha dimostrato invece che nessun meccanismo in natura produce nuove specie, né tantomeno taxa superiori negli esseri viventi.
Ora che la scienza ha distrutto l’errore darwinista, è emerso che la vera origine delle specie è dovuta alla Creazione. Dio Onnipotente, con la Sua suprema conoscenza, ha creato ogni essere vivente.